BREVE COMPENDIO DI CULTURA E SVILUPPO DELL'AUTODIFESA
(a cura di Sergio Rubichi, insegnante tecnico federale (CONI) - Judo III^ DAN perfezionato in JuJitsu e Aikido)

'Abstract'

    L’idea di scrivere queste note nasce da anni di studio e di partecipazione ad eventi che riguardavano le varie forme di lotta.  Ho così elaborato un sistema che dovrebbe portare un po' di luce (spero) nel mare di informazioni devianti e confuse, dovute all’uso commerciale o spettacolare della nobile ‘arte del guerriero’.
A tale proposito, da un punto di vista educativo, considero il Judo come un significativo passo da compiere, per applicare correttamente anche altre forme orientate alla  ‘Difesa Personale’.   Le arti marziali insegnano a superare il conflitto e l'avversario, ma soprattutto a scoprire noi stessi attraverso  l’altro, creatura preziosa cui si deve il massimo rispetto.
 
 

il Judo (‘via della cedevolezza’)

    E' la prima arte marziale ad essere stata inserita a pieno titolo nell’elenco degli sport olimpici ed è tutt’oggi materia di studio nelle scuole del Giappone e di altri Paesi. Deriva dal Jujutsu (forma codificata di lotta a corpo "senza esclusione di colpi") ed è il frutto di una lunga elaborazione, grazie ad una serie di studi condotti inizialmente dal maestro giapponese Jigoro Kano che nel 1882 fondò a Tokyo una scuola di questo stile in una palestra chiamata ‘Kodokan’, uno dei maggiori punti di riferimento per tutti i praticanti.  Kano eliminò dal Jujutsu quelle tecniche che avrebbero potuto danneggiare in maniera permanente il proprio avversario,  concentrandosi nello sviluppo e miglioramento della qualità ed efficacia dei movimenti di difesa e di attacco "leggero".  Lo spirito del Judo si fonda sul principio di mutua prosperità e la sua maestria richiede una perfezione di esecuzione, che viene raggiunta quando la tecnica trascende la fase conoscitiva e raggiunge la naturalezza.  Si impara a cadere nel modo corretto sviluppando - secondo l’età - equilibrio mobilità e destrezza;  per facilitare l'apprendimento degli schemi motôri fondamentali, viene insegnato come attività ludica fatta di corse, salti, capriole, cadute:  in palestra si svolgono esercizi completi che interessano in maniera equilibrata tutti i gruppi muscolari, cuore e polmoni, salvaguardando e spesso correggendo eventuali “vizi” posturali.  Inizialmente non si eseguono le tecniche di gara, ma giochi, appositamente studiati dagli Istruttori, che riproducono i gesti tecnici e aiutano ad avvicinarsi per gradi alla disciplina; l’allievo scoprirà da solo la tecnica al momento opportuno, acquisendola come nuova esperienza e consentendo al "proprio" di Judo di evolvere.
Il gioco-sport  è fondamentale per la crescita e la formazione, poiché concorre all'armonico sviluppo della personalità;  la pratica offre la possibilità di mettere in evidenza il bisogno di esprimersi, stimolare la creatività, divertire, coinvolgere e motivare, comprendere ed accettare regole in condivisione con gli altri.  Nel gioco è possibile smitizzare cose o situazioni, riportandole sotto il controllo emotivo attraverso il superamento di un processo di drammatizzazione  che arricchirà le capacità individuali di base:  pluralità di schemi motôri, polivalenza di contenuti, interpretazione e fantasia individuale.  Essendo diffuso e praticato con successo in tutto il mondo, sia ad uso amatoriale e didattico che sotto il profilo agonistico, è possibile dimostrare come le tecniche del Judo siano sufficienti a controllare gli attacchi di un avversario "a mani nude" o "armato (a distanza ravvicinata)".
La cedevolezza potremmo qualificarla come una condizione necessaria al corretto sviluppo della flessibilità:  interpretando, infatti, la realizzazione di uno schema motorio come concetto appartenente al dominio della comunicazione e controllo di un sistema, ci si accorge che “cedere” inizialmente ad un'azione offensiva favorisce quel processo di conoscenza e meccanismo di controreazione all'evento che può portare, nell'individuo allenato, alla risposta efficace con il minore dispendio di energia.

Mi sembra anche importante fornire alcuni spunti da utilizzare per la finalizzazione del lavoro sul tappeto ('tatami'), in piedi o al suolo, all’interno di una situazione  “regolamentata”.  Per 'competizione sportiva' si intende uno scontro, governato da un codice di comportamento, fra due atleti che giungono a contatto (Kumi Kata) dando inizio ad un confronto, con una miriade di azioni di attacco, espedienti per la difesa e contrattacchi, che si susseguono necessariamente fino al prevalere dell'uno sull'altro avversario.  Lo sforzo degli antagonisti per ottenere la vittoria viene realizzato secondo alcuni concetti generali da cui derivano gli articoli contenuti nel regolamento di gara e secondo condizioni particolari della competizione, definite come opportunità, che derivano dalla personalità e preparazione tecnica propria e dell'avversario.
 
 

la 'Difesa Personale'

    Più in generale, trattiamo qui della "riscoperta" delle potenzialità difensive che ciascuno possiede,  attraverso lo sviluppo consapevole di appropriati meccanismi psicofisici.  Conoscendo un metodo di autodifesa, sarà possibile prevenire situazioni eccessivamente rischiose o contrastare aggressioni non previste, almeno per limitare i danni nel caso si fosse costretti a reagire ad una violenza.  La Difesa Personale insegna a gestire situazioni “reali” piuttosto che competizioni normate da regolamenti.  L’efficacia della tecnica e la tutela/integrità di chi si difende sono dunque essenziali.  Nella fattispecie si tratta di una pratica finalizzata a una forma di difesa che "attraversa" le varie culture e arti marziali, secondo il principio di ‘cedevolezza’ e ‘flessibilità’:  la sua strategia si concretizza nell'assecondare i movimenti dell'aggressore per rivolgere contro di lui la sua stessa forza applicata.  Non è uno sport da combattimento o un’arte marziale classica, ma sviluppa uno studio delle due situazioni di 'difesa personale' propriamente detta (non esiste scelta, si è obbligati a difendersi) e 'combattimento a corpo'.   Poiché siamo di fronte ad attacchi reali che richiedono difese reali, l’identificazione di un evento, perché possa essere controllato, è tanto più importante e rapida quanto più vario è l’addestramento:  il cervello riconosce con maggior efficienza/velocità eventi dai quali è stato già sollecitato;  ad una corretta identificazione corrisponderà una decisione rapida e quindi la reazione appropriata.  Ma non è tutto: l'effetto sorpresa, esercitato solitamente in caso di attacco, non ci permette (in generale e per quanto si possa essere tempestivi nel difendersi) di adottare la contromisura in modo sufficientemente repentino. Assecondando, dunque, inizialmente e nel modo opportuno (tale da salvaguardare la nostra incolumità) la forza dell'aggressore - cedendo alla direzione della dinamica imposta - avremo il tempo per effettuare quell'identificazione così importante che ci consentirà di "replicare" in maniera adeguata e nel rispetto dei canoni usuali della legittima difesa, cioè commisurando la nostra reazione all'entità dell'attacco subìto.  L’obiettivo principale deve rimanere la tattica, strumento per realizzare la tecnica.  Osserviamo inoltre che lo sviluppo del fenomeno 'stimolo-risposta', in una situazione dinamica 'causa-effetto' che si svolge fra organismi complessi, può comportare in realtà una successione di azioni slegate dal fattore 'tempo' (reazione seguente un attacco), ragione per cui appare evidente che, nel rispetto del mantenimento della propria integrità e di una rapida e continua valutazione "costi/benefici", il ricorso alla scelta del 'gioco d'anticipo' (strettamente funzionale alla circostanza, flessibile) premia il "sacrificio" di una scelta strategico-tattica quasi sempre vincente.
    Fra le arti marziali, ‘Yoseikan’ ed 'MGA' - in quanto metodi che si distinguono per l’enfasi posta su alcune considerazioni di ordine fisico-meccanico (propagazione dell’onda energetica) - esaltano ad un tempo l’aspetto razionale e la verifica sperimentale ponendo, in ultima analisi, l’attenzione sull’abilità dell’individuo a costruire una propria autentica ricerca.  E’ molto importante possedere delle buone basi per poterle applicare creativamente ad una quantità di altri contesti, perciò  essi constano di tecniche provenienti dal Judo/Ju-Jutsu, Aikido e Karate;  ad un livello superiore di preparazione abbiamo degli stili cosiddetti “adattati”, che si possono combinare fra loro.  In questo modo, per esempio, si potrà rispondere ad attacchi tipici del Karate con degli spostamenti dell’Aikido, per applicare infine tecniche proprie del Judo.
 

    Come esempio e testimonianza diretta di una lunga esperienza vissuta,  trovo significative le considerazioni del grande campione Isao Okano :
<< Il mio approccio al Judo può essere riassunto nell'idea dell'ultimo incontro. Una volta che questo è incominciato, misuro l'uomo e decido quali tecniche potranno avere maggiore efficacia. Ma faccio questo solo all'inizio, dopo conformo le mie azioni al modo in cui le cose evolvono, mentre naturalmente mi sforzo di mantenere l'iniziativa.  Ovviamente durante l'incontro possono sorgere due o tre possibilità per certe tecniche, ma in ogni caso il tentativo di forzare queste possibilità e di applicare le tecniche senza considerare il corso dell'azione, altera il proprio calcolo del tempo. Per questa ragione, tento di mantenere costantemente in movimento le cose e afferrare qualunque opportunità si presenti.  In altre parole, è indispensabile fronteggiare gli attacchi eventuali e far seguire le tecniche bene applicate l'una all'altra in rapida successione, accrescendo la possibilità per un attacco finale.  La forza e l'abilità tecnica da sole non assicurano la vittoria negli incontri:  è necessaria un'acuta attività mentale.  Si deve essere abili a prevedere le mosse che l'avversario farà e valutare accuratamente le sue reazioni alle nostre mosse.
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Nessuno è completamente forte senza punti deboli, ma una conoscenza di essi con un sincero desiderio di vincerli possono diventare trampolini per la nascita di una più grande forza. [. . .] >>
 
 

Conclusioni

    Un’osservazione relativa al complesso tessuto sociale odierno, tiene conto dell’aspetto di deterrenza nei confronti del comportamento violento di qualche “malintenzionato”.   Da un punto di vista della didattica e dei risultati, penso che il criterio  illustrato sia coerentemente orientato alla preparazione di un individuo - femmina o maschio, di qualunque età o estrazione - che sarà in grado di affrontare casi di tipo "reale" (per mezzo dell’istantanea e opportuna valutazione del contesto situazionale) ancorché di tipo 'agonistico'.


- Nota di 'Publishing' -