GIOCHIAMO “ALLA LOTTA”
Il gioco-sport è fondamentale per la crescita e la formazione non solo fisica, ma della totalità dell'essere umano, concorrendo all'armonico sviluppo della personalità.
Obiettivi
La pratica sportiva offrirà la possibilità, attraverso lavori :
• per la conoscenza/percezione del corpo nello spazio;di:
• per la coordinazione occhio-mano e segmentaria;
• sulla propagazione dell’onda energetica;
• per l'affermazione della lateralità;
• mettere in evidenza il bisogno di esprimersi attraverso il linguaggio corporeo, di far notare (dimostrando a se stessi e agli altri) cosa si è realmente “capaci di fare”;Metodi
• stimolare la creatività;
• divertire, coinvolgere e motivare;
• comprendere ed accettare regole attraverso la condivisione con gli altri;
• sviluppare gli schemi motôri;
• potenziare le capacità fisiche;
• vivere “in modo sportivo” la propria corporeità.
L'insegnamento è caratterizzato soprattutto dal "globalismo" per consentire l'arricchimento delle capacità individuali di base (v. Complementi):
Le lezioni apprese durante l'attività contribuiranno alla costruzione di quei Valori che formeranno l'adulto di domani.pluralità di schemi motôri elementari polivalenza dei contenuti personale interpretazione fantasia individuale
LE ARTI MARZIALI
(compendio di cultura e sviluppo
dell’Autodifesa)
Nella nostra Società i termini
violenza, aggressività e aggressione non sono
certo nuovi o sconosciuti. Il vocabolo ‘violenza’, che contiene la
radice “vis”, dal latino “forza”, è noto nella Storia fin dai
tempi antichi ed è stato adoperato prima come sinonimo di forza
fisica, successivamente anche per esprimere una forza mentale e
psichica. L’aggressività è uno dei temi
maggiormente studiati nelle scienze umane ed uno dei più
interessanti. Poiché l’aggressività svolge un ruolo
importante nello sviluppo individuale e sociale, si può
affermare che sia l’Uomo che le altre specie animali siano “aggressivi”.
E’ anche importante sottolineare quanto il
comportamento aggressivo abbia svolto, in un’ottica evoluzionistica,
una vera e propria funzione utile alla sopravvivenza della Specie; per
questo viene tramandato dalla memoria genetica in quanto parte del
corredo comportamentale e non deve essere visto come una sorta di
“patologia”.
Arrecare un danno fisico è solo una
delle strategie a disposizione della specie umana per imporre la
propria volontà; ma accanto a questa ve ne sono altre, basti
pensare al comportamento di prepotenza, al sopruso.
Le “buone” norme comportamentali non sempre vengono rispettate.
L’aggressione intesa come atto di violenza
effettuato contro una sola persona o un piccolo gruppo di persone e
tutti gli atti violenti in genere sono quindi frequenti.
L’Autodifesa nasce e si articola sul
concetto di voler dare all’individuo, con adeguata preparazione, la
possibilità di difendersi con efficacia, pur rimanendo nel
rispetto delle leggi e delle normative vigenti, senza trasformarsi
in giustizieri o volersi sostituire agli stessi tutori della
legge.
La situazione appena descritta, che dovrebbe
costituire una presa di coscienza da parte di noi tutti per meglio
affrontare ciò che l’impegno quotidiano ci può riservare,
ha fatto sì che negli ultimi anni - e maggiormente nelle grandi
città - si sia avvertito un notevole aumento della richiesta di
corsi finalizzati in modo specifico all’Autodifesa.
Forse per un fatto psicologico o forse per
la loro impostazione sportiva di carattere agonistico, molti cittadini
di tutte le età e di ambo i sessi, piuttosto che praticare
un’arte marziale ben definita, preferiscono un Metodo di Autodifesa
che consenta loro di apprendere velocemente delle tecniche che li
pongono in condizioni di difendersi, piuttosto che sottoporsi ad
allenamenti duri e ripetitivi che daranno risultati, probabilmente,
soltanto dopo anni di pratica e di sacrifici.
In virtù di una certa esperienza
nelle varie forme di lotta mi accingo, allora, ad illustrare un
percorso formativo per interpretare nelle applicazioni questa materia,
secondo la mia modesta opinione.
Un po’ di storia del Judo
Il Judo (“via della
cedevolezza”) è la prima arte marziale ad essere stata inserita
a pieno titolo nell’elenco degli sport olimpici. Deriva dal Jujutsu
(forma codificata di lotta a corpo "senza esclusione di colpi") ed
è il frutto di una lunga elaborazione, grazie ad una serie di
studi condotti inizialmente dal maestro giapponese Jigoro Kano che nel
1882 fondò a Tokyo una scuola di questo stile in una palestra
chiamata ‘Kodokan’, uno dei maggiori punti di riferimento per tutti i
praticanti.
Kano eliminò dal Jujutsu quelle
tecniche che avrebbero potuto danneggiare in maniera permanente il
proprio avversario, concentrandosi nello sviluppo e miglioramento
della qualità ed efficacia dei movimenti di difesa e di attacco
"leggero": lo spirito del Judo si fonda sul principio di mutua
prosperità. Dai primi anni del 1900 esso è
riconosciuto ufficialmente come arte marziale (è tutt’oggi materia
di studio nelle scuole del Giappone e di altri Paesi) ed è
stato ammesso come sport ai Giochi Olimpici nel 1964.
E’ la base per lo studio
della flessibilità, educazione all’equilibrio interiore ed
esteriore, alla sensibilità, alla prontezza, al controllo della
persona. Si può dimostrare come le tecniche del Judo siano
sufficienti a controllare gli attacchi di un avversario "a mani nude" o
"armato (a distanza ravvicinata)", ma qui è importante spiegare
in maniera sintetica i termini cedevolezza e flessibilità
:
la cedevolezza potremmo qualificarla come
una condizione necessaria al corretto sviluppo della
flessibilità. Interpretando infatti la realizzazione di
uno schema motorio come concetto appartenente al dominio della comunicazione
e controllo di un sistema, ci si accorge che cedere inizialmente ad
un'azione offensiva favorisce quel processo (comunicazionale) di
conoscenza e meccanismo di controreazione all'evento che può
portare, nell'individuo allenato, alla risposta efficace (sfera del controllo)
con il minore dispendio di energia.
I principi morali del Judo si basano su
concentrazione e lealtà; è diffuso e praticato con
successo in tutto il mondo, sia ad uso amatoriale e didattico (con
un'alta affluenza di bambine e bambini), sia sotto il profilo
agonistico. La 'International Judo Federation'
determina e regola con precisione gli aspetti tecnici e
promozionali. Stiamo trattando della disciplina, fra le arti
marziali, insegnata nel modo più uniforme.
Gli elementi del Judo
Quest’arte consente l’apprendimento di tecniche per cogliere dinamicamente e trasformare vantaggiosamente l’energia cinetica; la sua maestria richiede una perfezione di esecuzione, che viene raggiunta quando la tecnica trascende la fase conoscitiva e raggiunge la naturalezza.
Particolarmente adatto ai più piccoli, insegna loro a cadere nel modo corretto sviluppando - secondo l’età - equilibrio mobilità e destrezza. Per facilitare l'apprendimento degli schemi motôri fondamentali, viene insegnato come attività ludica fatta di corse, salti, capriole, cadute: in palestra i bambini svolgono esercizi completi che interessano in maniera equilibrata tutti i gruppi muscolari, cuore e polmoni, salvaguardando e spesso anche correggendo eventuali “vizi” posturali. In questa fase iniziale non si eseguono le tecniche di gara, ma giochi, appositamente studiati dagli Istruttori, che riproducono i gesti tecnici e aiutano il bimbo ad avvicinarsi per gradi alla disciplina, insegnandogli a dominare i movimenti che diventeranno più armonici e controllati. Grazie a questo tipo di lavoro egli scoprirà da solo la tecnica al momento opportuno, acquisendola come nuova esperienza e consentendo al "proprio" di Judo di evolvere.
Possiamo dire che l'essere umano gioca tutta la vita, quando ha la possibilità di farlo. Solo l'individuo che ha giocato in piena libertà, senza imposizioni a frustrazioni, sarà un adulto psicologicamente sano ed equilibrato: nel gioco si realizza la personalità, smitizzando cose o situazioni e riportandole sotto il controllo emotivo attraverso il superamento di un processo di drammatizzazione.
Il gioco è quindi un mondo fantastico e reale nello stesso tempo, un contesto di comunicazione e apprendimento di comportamenti sociali, un'attività biologica primaria, indispensabile per mantenere un buon equilibrio neurodinamico; solamente attraverso il gioco l'individuo, specialmente in età evolutiva, può liberamente esternare la propria esuberanza vitale, anche se bisogna sempre tenere presente che il gioco è un insieme di regole. Compito dell'insegnante sarà quello di non permettere che la forma ludica venga mortificata da vincoli troppo rigidi.
Con il gioco si realizzano anche quelle
condizioni che, grazie alle diverse e molteplici esperienze, permettono
varie modalità esecutive del movimento nella coordinazione,
precisione, funzionalità ed efficienza.
Evoluzione
Una valida applicazione, per lo sviluppo delle capacità psicofisiche e l’elaborazione delle molteplici opportunità che emergono e si articolano funzionalmente a circostanze e lunghezze operative, è possibile riscontrarla nella pratica dell’autodifesa come arte marziale, sul principio universale di cedevolezza (strategia che si concretizza nell'assecondare i movimenti dell'aggressore per rivolgere contro di lui la sua stessa forza applicata) ed il supporto di un metodo globale di studio.
Nella Difesa Personale trattiamo della "riscoperta" delle potenzialità difensive che ciascuno possiede, attraverso lo sviluppo consapevole di appropriati meccanismi psicofisici. Sarà possibile prevenire situazioni eccessivamente rischiose o contrastare aggressioni non previste, almeno per limitare i danni nel caso si fosse costretti a reagire ad una violenza. Il metodo è basato su un'attività utile per il benessere dei praticanti; economia ed efficacia sono termini chiave, in relazione all'energia e risultato ottenuto. La Difesa Personale non è uno sport da combattimento o un’arte marziale classica, ma sviluppa uno studio, all’interno del metodo di autodifesa, delle due situazioni di 'DIFESA PERSONALE' (propriamente detta) e 'COMBATTIMENTO CORPO A CORPO', con la seguente distinzione:
Il possesso di una condizione psicologica ad “entrare nel combattimento”, se necessario, è fondamentale.nella Difesa Personale le tecniche possono essere semplici; non esiste scelta, si è obbligati a difendersi; nel combattimento sportivo esistono situazioni più articolate, dove entrano in gioco fattori diversi (per es. la durata prolungata); esiste la possibilità di scegliere se cimentarsi in un confronto oppure ritirarsi.
Tornando al Judo,
come forma di espressione che si sviluppa anche attraverso la
componente agonistica, vorrei fornire alcuni spunti da utilizzare
per la finalizzazione del lavoro sul tappeto (‘tatami’).
Per 'competizione sportiva' si intende uno
scontro, governato da un codice di comportamento, fra due atleti che
giungono a contatto dando inizio ad un confronto, con una miriade di
azioni di attacco, espedienti per la difesa e contrattacchi, che si
susseguono necessariamente fino al prevalere dell'uno sull'altro
avversario (rammentiamo che il successo non coincide con la vittoria
e la sconfitta non coincide con il "perdere").
Lo sforzo degli antagonisti viene realizzato
secondo alcuni concetti da cui derivano gli articoli contenuti nel regolamento
di gara e secondo condizioni particolari della competizione,
definite come opportunità, che derivano dalla
personalità e preparazione tecnica propria e dell'avversario.
Innumerevoli manifestazioni hanno mostrato la validità
sperimentale di questi concetti, mentre l'analisi biomeccanica ne
dimostra la correttezza scientifica.
Conclusioni
Un’osservazione relativa al complesso tessuto sociale odierno, tiene conto dell’aspetto di deterrenza nei confronti del comportamento violento di qualche “malintenzionato”. Da un punto di vista della didattica e dei risultati, penso che le varie forme illustrate (v. Complementi) siano coerentemente orientate alla preparazione di un individuo - femmina o maschio, di qualunque età o estrazione - che sarà in grado di affrontare casi di tipo "reale" (per mezzo dell’opportuna e istantanea valutazione del contesto situazionale) ancorché di tipo 'agonistico'.
Nella trattazione
esposta ho cercato di fornire una chiave per arrivare alla comprensione
di un sistema che nasce da un’esperienza documentata di molti anni di
studio e di pratica, con la speranza di portare un po' di luce nel mare
di informazioni devianti e confuse dovute all’uso commerciale o spettacolare
della nobile ‘arte del guerriero’.
- ALCUNI COMPLEMENTI -
Il movimento umano finalizzato, ovvero la
capacità di interazione motoria con l'ambiente, è reso
possibile dalla serie di funzioni nervose e processi che precedono
organizzano e seguono il movimento stesso. La maggior parte degli
atti motôri che vengono effettuati da un individuo sono in
risposta a variazioni ambientali o del contesto situazionale.
Un atto motorio può dunque essere considerato un processo
(aspetto della comunicazione) guidato da un programma
(aspetto del controllo) finalizzato ad uno scopo. Vale a
dire che ogni atto motorio determina, o impedisce che si determini, una
situazione.
Riflessi condizionati e automatismi
L'assimilazione della
tecnica coinvolge sia la fisiologia che la psicologia di un
individuo/entità biomeccanica. Nell'apprendimento di una
tecnica, o in generale di un'azione motoria semplice o complessa,
bisogna tenere conto del cosiddetto tempo di reazione, inteso
come intervallo di tempo che intercorre fra lo stimolo (conscio o
inconscio) e la contrazione muscolare che espleta l'azione motoria.
La ‘teoria dinamica della competizione’ si
fonda sull'analisi delle forze agenti e sul loro collegamento
funzionale con la velocità di esecuzione del compito motorio
all'interno dell'entità coppia di atleti, che a sua
volta si muove con una propria velocità di spostamento. Il
parametro velocità gioca dunque un ruolo fondamentale
nella teoria della competizione, sia come velocità relativa
di esecuzione di un attacco, sia come velocità assoluta
di spostamento della coppia. Infatti, ad ogni ritmo,
associato a tale velocità, è possibile collegare
l'esecuzione di tecniche opportune. Nella fase di competizione,
inoltre, possiamo individuare due aspetti estremi, uniti da una
serie di stati intermedi senza soluzione di continuità: quello
psicologico e quello tecnico.
Ovviamente, più complessa
risulterà la tecnica o l'azione motoria, come difficoltà
di movimento, maggiore sarà il tempo di reazione.
L'allenamento all'assimilazione di una tecnica prevede in genere la
ripetizione successiva di un movimento, in modo da trasferire il
meccanismo motorio dalla zona corticale primaria alla zona premotoria,
non più esattamente conscia (riflesso condizionato). Tuttavia,
la ripetizione "esasperata" di un determinato movimento, sotto un
particolare stimolo, può produrre il risultato negativo di un
riflesso condizionato, fatto questo certamente sconveniente: reagire
sempre nello stesso modo a un determinato stimolo sensoriale può
condurre l'avversario (definito ‘Uke’) ad avvantaggiarsi, ad es. con
una finta, di questo riflesso condizionato divenuto ormai
reazione inconscia.
Insieme con il potenziamento di
sensibilità e prontezza, risulta certamente di maggiore
utilità sviluppare degli automatismi piuttosto che
dei condizionamenti. L'automatismo, come il
condizionamento, è caratterizzato dalla possibilità di
eseguire la tecnica o l'azione motoria senza fissare, in modo
particolare, l'attenzione conscia sul processo di esecuzione. Come si
può notare, la definizione è analoga a quella di riflesso
condizionato, tuttavia ciò che distingue questi due tipi di
processi fisiologici tra loro è il grado di coscienza latente
presente nei due. Si potrà così affermare che mentre nel
caso dei riflessi condizionati la zona di coscienza latente è
minima, al contrario nel caso dei riflessi automatici questa è
maggiore, rendendo l'atleta più incline a formulare un giudizio
corretto a fronte di qualsivoglia minima variazione nell'azione
intrapresa dall'avversario, potendo infine prendere le opportune
precauzioni o contromisure nel corso della fase competitiva.
Lo sfruttamento dell'energia cinetica e del momento angolare
Lo studio dell'iniziativa e del suo sfruttamento può prescindere dal concetto di attacco o di difesa. Infatti, se per la difesa è importante conservare sempre l'iniziativa, in modo da sfruttare al meglio tutti i movimenti propri e dell'avversario (per poter, ad es., effettuare una tecnica di proiezione), si comprende come ogni difesa può essere considerata un attacco e viceversa. L'iniziativa (qui intesa, anche, come anticipo sull'azione di un avversario) è stata oggetto di ricerche e studi presso numerose antiche scuole di arti marziali, fino ad essere codificate nei cosiddetti "libri dei principi segreti" propri di ogni Scuola.
Le considerazioni
biomeccaniche che seguiranno saranno riferite all'analisi del
raggruppamento biodinamico "coppia di atleti", cioè delle azioni
che ‘Tori’ (contrapposto ad ‘Uke’) dovrà effettuare in
relazione alle corrispondenti azioni o posizioni di Uke.
In una competizione possono individuarsi tre
forme base di sfruttamento dell'energia, denominate, secondo l'antica
classificazione giapponese:
1. ‘SEN’
(l'iniziativa) che si esprime al meglio con il corretto uso dei
‘Renzoku waza’ (tecniche concatenate) e ‘Renraku waza’
(tecniche successive);
2. ‘GO NO SEN’ (il
contrasto dell'iniziativa) che si espleta mediante i ‘Bogyo waza’
(tecniche difensive);
3. ‘SEN NO SEN’
(l'iniziativa sull'iniziativa) che si ottiene con l'uso dei ‘Kaeshi
waza’ (contro tecniche).
1) Il principio ‘Sen’
(proposizione dell'iniziativa) è sicuramente il modo più
diretto di sfruttare l'iniziativa, attraverso un'azione diretta e
mediante un'azione positiva (‘omote’). Si utilizzerà,
per una caratterizzazione più articolata dell'iniziativa tipo
‘Sen’, come fattore discriminante, il tempo precedente o susseguente
l'attuazione della propria tecnica speciale (‘Tokui waza’).
A scopo didattico, può essere utile
conoscere la seguente suddivisione per gli attacchi :
Strategia e Tattica
Ogni competizione
è dotata di una propria "chiave" per il successo, fondata sui
valori tecnici e psichici espressi dagli atleti in azione. Spesso le
nozioni fondamentali generiche (come ad es. lo squilibrio o,
più in generale, le catene cinetiche favorevoli) sono concetti
variabili dipendenti da molti fattori, come le azioni proprie, quelle
dell'avversario, la velocità di spostamento del raggruppamento
biodinamico, le prese, le posizioni relative. Pertanto è
necessario ed utile considerare una strategia della competizione,
che si interessi della questione della coordinazione delle forze in
gioco o degli sforzi armonizzati con i movimenti relativi.
La strategia fornisce
l'atleta di concetti generali per governare lo svolgimento armonico
della competizione; la tattica richiede che egli abbia la
capacità del corretto apprezzamento della fase transitoria, dell'attimo
fuggente, che può fargli ottenere la vittoria. Si
potrà dire che la strategia è materia pertinente
l'intuizione razionale e si può pensare di prepararla
opportunamente, la tattica è materia pertinente
l'intuizione irrazionale e si esprime solo se l'atleta ha raggiunto un
sufficiente grado di confidenza nei confronti della tecnica.
Come esempio e testimonianza diretta di una lunga esperienza vissuta, sembrano significative le considerazioni del grande campione giapponese Isao Okano :
<< Il mio approccio al Judo
può essere riassunto nell'idea dell'ultimo incontro. Una
volta che questo è incominciato, misuro l'uomo e decido quali
tecniche potranno avere maggiore efficacia. Ma faccio questo solo
all'inizio, dopo conformo le mie azioni al modo in cui le cose
evolvono, mentre naturalmente mi sforzo di mantenere l'iniziativa.
Ovviamente durante l'incontro possono sorgere due, tre
possibilità per certe tecniche, ma in ogni caso il tentativo di
forzare queste possibilità e di applicare le tecniche senza
considerare il corso dell'azione, altera il proprio calcolo del tempo.
Per questa ragione, tento di mantenere costantemente in movimento le
cose e afferrare qualunque opportunità si presenti. In altre
parole, è indispensabile fronteggiare gli attacchi eventuali e
far seguire le tecniche bene applicate l'una all'altra in rapida
successione, accrescendo la possibilità per un attacco finale.
La forza e l'abilità tecnica da sole non assicurano la vittoria
negli incontri: è necessaria un'acuta attività mentale.
Si deve essere abili a prevedere le mosse che l'avversario farà
e valutare accuratamente le sue reazioni alle nostre mosse.
[ . . . ]
Nessuno è completamente forte senza
punti deboli, ma una conoscenza di essi con un sincero desiderio di
vincerli possono diventare trampolini per la nascita di una più
grande forza. [ . . . ] >>
Il significato di ‘Metodo e Modello di insegnamento’ nelle Arti Marziali
Premessa :
Concetto storicamente
legato al problema dell'acquisizione della certezza in campo
conoscitivo, si intende per metodo il processo mentale
attraverso cui si vuole raggiungere un certo fine. Nell'accezione
letterale ‘méthodos’ vuol dire "battere una strada per uno scopo
determinato" e l'originaria definizione evidenzia anche la componente motoria
delle operazioni metodologiche. Il metodo rappresenta anche una
modalità adattiva, cioè le operazioni di un oggetto che
si adatta, per esperienze successive, alla realtà. Fu
Socrate fra i primi ad avere la consapevolezza del rapporto tra la
validità di una conoscenza e il modo in cui essa viene raggiunta.
Modello è la rappresentazione, anche
schematica, di un sistema formale. E' la semplificazione di
un oggetto di studio e di ricerca che si avvale spesso di analogie con
altre discipline. E' pure descrivibile come la realizzazione di
una teoria, in cui vengono soddisfatti tutti i principi validi per la
teoria stessa.
Teoria è un insieme
integrato di ipotesi, esplicitate dal ricercatore, per spiegare un
insieme di eventi o di fenomeni osservati. Le teorie, solitamente,
spiegano risultati o dati esistenti mediante una generalizzazione e
possono prevedere nuovi fatti o risultati.
Principio è ciò
che sta alla base di una teoria; è, in un ente, un fattore
distinguibile da altri, ma non separabile, che concorre a costruire
l'ente stesso.
Ipotesi è un'asserzione che
si considera provvisoria (sulla base della quale vengono attivati esperimenti
ed esperienze) che in seguito può essere accettata o
respinta. E' anche indicata come una "teoria provvisoria" per spiegare
fatti osservati. Le fasi della sperimentazione
sono quattro :
1. L'osservazione, che permette di
scoprire o mettere in evidenza i fatti rilevanti e conoscerli con la
precisione desiderata o possibile;
2. La formulazione delle ipotesi
sulle relazioni che possono esistere tra i fatti;
3. La sperimentazione propriamente
detta, che si propone di verificare le ipotesi;
4. L'elaborazione dei dati e la
loro interpretazione.
Anche nella storia recente si è
parlato di teoria del metodo, passando da una sua concezione
algoritmica, cioè una procedura formale per
produrre un risultato corretto e ottimale, a una concezione
strategica, in cui il metodo non è soltanto qualcosa di
statico, ma si caratterizza nel suo processo dinamico, avendo come
referente l'esperienza. In un certo senso, con definizione
ricorsiva, si può affermare che la teoria del metodo tratta
delle scelte dei metodi, cioè delle decisioni sul modo in cui si
devono trattare le asserzioni scientifiche.
La scienza è caratterizzata dai
suoi metodi e le regole metodologiche sono da considerarsi delle
convenzioni, delle "regole del gioco", che un gruppo di persone (in un
dato momento storico) decide di accettare e condividere.
Avvicinarsi alla tecnica per passi :
Per le Arti Marziali
è importante scomporre una tecnica nei suoi movimenti
essenziali, richiamando l'attenzione sulla "sostanza" e lasciando i
dettagli a quando colui/colei che pratica avrà una preparazione
via via migliore. Non da meno viene considerata la simmetria
nelle esecuzioni, anche ai fini della scoperta della cosiddetta lateralità,
propria di ciascun individuo. Il passo successivo sarà
quello di radicare l'idea della dinamicità, cioè porre
attenzione allo spostamento del compagno; infine, esercitare
la tecnica opportunamente selezionata o "scoperta". A tale
proposito, rimane importante per chi insegna la capacità di
"ascoltare" la Classe (sia durante lo svolgersi delle lezioni che
nell'articolazione globale del Corso) cercando di capire e interpretare
aspettative e progressi degli allievi, monitorando e verificando i
risultati ottenuti rispetto agli argomenti presentati, perfezionando
la metodologia d'insegnamento.
Va inoltre sottolineato come, dalla prima
infanzia fino alla maturità ed oltre, ogni attività
motorio-sportiva (ma, diciamolo pure, non solo questa) ha sempre nella motivazione
ludica una componente fondamentale. Questo fatto ha conseguenze
metodologiche importanti che condizionano l'insegnamento dei primi
elementi del gesto tecnico sportivo, da collocarsi in un contesto
ludico: senza mai avere carattere di estrema specificità e
monotonia, ma destare interesse e curiosità
nell'apprendimento. Ampio spazio andrà sempre
riservato al miglioramento di tutte le capacità motorie,
soprattutto con esercitazioni di gruppo e con ‘partner’, giochi di
squadra, a coppie, piccoli elementi di acrobatica, uso di attrezzi
ginnici, etc.
Un continuo e
successivo raffinamento va senz'altro bene, tenendo anche nella dovuta
considerazione i possibili (e attesi) salti qualitativi durante le fasi
dell'apprendimento generale. Infatti, in contrapposizione all'idea di
un'evoluzione del sapere come azione "cumulativa", esiste una visione
di progresso che si attua per salti paradigmatici. La
conoscenza non viene interpretata quindi come sapere in evoluzione
lineare, non è un programma che aggiorna i propri dati in ordine
di maggiore complessità nel tempo, ma è un organismo
che muta nel tempo1.
Del resto, vivendo praticamente
attraverso l’esperienza quanto già acquisito in ambito
scolastico/”accademico”, sarà possibile integrare, completare ed
infinitamente arricchire il proprio “bagaglio” di conoscenze.
Preparazione tecnica
Nelle discipline ove
si ha un'interazione diretta fra gli antagonisti, la composizione delle
azioni tecniche varia di molto, ma di solito comprende le azioni
elementari combinate nella forma migliore.
La struttura dell'insieme di movimenti che
determina una tecnica è prodotta dai suoi elementi, legati
reciprocamente, in modo tale da contribuire al perfezionamento
dell'azione, generando così il sistema e le sue
proprietà. Gli ‘sport di combattimento’ possono essere
considerati come una disciplina di situazione, cioè
caratterizzati dalla grande variabilità delle situazioni.
La tecnica deve risolvere compiti motôri complessi, in relazione
alle mutevoli condizioni di competizione; l'atleta dovrà
possedere una grande varietà di azioni tecniche legate a una
vasta capacità di adattamento e fantasia. Data la
complessità di ogni individuo, nella struttura di una tecnica
sembra opportuno considerare sia aspetti cinematici e dinamici quanto
quelli emotivo-intellettivi (poiché, ricordiamo, mente
spirito e corpo si condizionano e completano a vicenda). Alla
base del perfezionamento abbiamo la costruzione di un sistema
motorio adeguato (movimenti opportuni, cinetica, dinamica,
apprendimento). Chiaramente, l'abilità dipenderà
dalla correttezza di tale sistema, che si modifica migliorandosi
continuamente grazie all'esercizio.
Gli scopi fondamentali dell'allenamento
tecnico possono essere identificati nello svolgimento delle seguenti
attività :
1. acquisizione delle tecniche di
base;
2. metabolizzazione (acquisizione
durevole) del gesto;
3. perfezionamento della tecnica in
funzione delle particolarità del soggetto allenato;
4. stabilizzazione della
sicurezza, in funzione di situazioni difficili (affaticamento, tensioni
emotive, etc.)
Possiamo evidenziare quattro fasi
didattiche successive, che permetteranno l'uso della tecnica in
situazioni “critiche” :
1. fase conoscitiva: serve a
far conoscere la tecnica standard, attraverso l'esecuzione dimostrativa
dell'istruttore;
2. fase sperimentale:
l'atleta deve trasformare l'immagine motoria in movimento del proprio
corpo, attraverso la sperimentazione pratica; l'istruttore
dovrà avvalersi del metodo di scomposizione (differenziazione) e
di unificazione (integrazione) per correggere gli errori esistenti
nell'esecuzione;
3. fase stabilizzante: scopo
precipuo è la costituzione dell'automatismo motorio, che deve
essere raggiunto attraverso i metodi delle ripetizioni e delle variazioni.
L'istruttore dovrà curare un opportuno equilibrio nella
combinazione dei due metodi, onde evitare la formazione di strutture
motorie stereotipate (caratteristiche del metodo ripetitivo), in modo
da fornire all'atleta l'adattabilità motoria
indispensabile per le discipline di situazione;
4. fase strategica: consiste
nell'accrescimento dell'adattabilità alle situazioni di
gara, mediante lo stimolo alla creatività,
che si esprime come rapida capacità di adattamento alla
situazione contingente.
In generale, le fasi di un corretto programma di allenamento possono considerarsi l'integrazione, la differenziazione e l'individualizzazione di una tecnica standard (il risultato di un determinato sistema motorio applicato all'entità biomeccanica) :
Il miglior apprendimento della tecnica consentirà di analizzarla e rifinirla con maggiore precisione; a qualsiasi livello, in un corretto programma (condotto per approssimazioni successive), le fasi di differenziazione (scomposizione) e integrazione (unificazione), impiegate secondo necessità, permetteranno uno svolgimento del compito motorio (la tecnica) più compatto e accurato.differenziazione, data dalla frammentazione, ad uso didattico, del movimento globale in numerose parti differenti. Essa permette un migliore apprendimento e la chiara specializzazione degli elementi nello schema motorio, evidenziandone il ruolo fondamentale o secondario; integrazione, data dal concorso di numerosi movimenti semplici, fino alla costruzione del gesto completo in un unico e fluido movimento continuo. Tutti i movimenti semplici dell'esecutore confluiscono in un'azione rivolta alla soluzione finale dell'obiettivo posto dal compito motorio; individualizzazione, prodotta dall'adattamento della tecnica standard alle particolarità tipologiche del soggetto allenato, utilizzando le sue qualità positive al meglio.
Quando osserviamo una tecnica (di attacco o difesa), il nostro compito è di valutarla con spirito critico.
La classificazione
delle forme di lotta in piedi nasce da una duplice
esigenza: raggrupparle, secondo alcuni criteri logici,
permettendo una facile comprensione ed un sistematico studio razionale;
ordinarle in una struttura sequenziale opportuna, per consentirne
l’apprendimento graduale tale da permettere infine al principiante di
padroneggiare la tecnica nella sua interezza.
Nel caso delle proiezioni vengono
utilizzate al meglio alcune vantaggiose condizioni che si presentano
nel corso di un incontro. L'applicazione di una tecnica di
proiezione è subordinata alle favorevoli opportunità o
alle circostanze transitorie che in una competizione (rapidamente)
sorgono e svaniscono.
Nelle forme di lotta al suolo vanno curati: l'approccio alle immobilizzazioni, ai passaggi fra le stesse, ponendo l'accento sull'uso appropriato del corpo anzichè sull'afferrare del tessuto (quello della eventuale casacca); l'uso dei rovesciamenti, al fine di avviare il praticante a scartare la condizione di passività. Nel contempo, portare all'assimilazione del concetto relativo allo spostamento continuo del corpo su di un fianco o l'altro; gli esercizi propedeutici, con la finalità di acquisire le corrette posture.
Nelle forme di
autodifesa, in generale, si impara a gestire situazioni
“reali” (nei limiti dell'esercizio preparatorio svolto) piuttosto che
competizioni normate da regolamenti. L’efficacia della tecnica e la
tutela/integrità di chi si difende sono dunque essenziali.
Nella fattispecie, si tratta di una pratica finalizzata a una forma di
difesa che attraversa le varie culture e arti marziali, secondo il
principio di ‘cedevolezza’ e ‘flessibilità’: le tecniche
impiegate non privilegiano la forza fisica né la violenza ma, se
applicate correttamente, possono salvaguardare la persona che le
utilizza da spiacevoli conseguenze per la propria incolumità.
L’identificazione di
un evento, perché possa essere controllato, è tanto
più importante e rapida quanto più vario è
l’addestramento: il cervello riconosce con maggior
efficienza/velocità eventi dai quali è stato già
sollecitato; ad una corretta identificazione corrisponderà
una decisione rapida e quindi la reazione appropriata. Ma non
è tutto: l'effetto sorpresa, esercitato solitamente in
caso di attacco, non ci permette (per quanto si possa essere tempestivi
nel difendersi) di adottare la contromisura in modo
sufficientemente repentino; assecondando, allora, inizialmente e
nel modo opportuno la forza dell'aggressore - cedendo
alla direzione della dinamica imposta - avremo il tempo per effettuare
quell'identificazione così importante che ci consentirà
di "replicare" in maniera adeguata (trasformando il campo di forze
mediante tecniche applicabili secondo la corretta interpretazione degli
atti motôri) e nel rispetto dei canoni usuali della legittima
difesa, cioè commisurando la nostra reazione
all'entità dell'attacco subìto. In caso di
colluttazione "obbligata" può essere utile (con le dovute
precauzioni) ridurre la distanza per anticipare le mosse
dell'avversario, attraverso la ricerca del contatto a corpo, che aiuta
a migliorare la sensibilità verso le minime vibrazioni,
segnali di moto incipiente. Osserviamo inoltre che lo sviluppo
del fenomeno 'stimolo-risposta', in una situazione dinamica
'causa-effetto' che si svolge fra organismi complessi, può
comportare in realtà una successione di azioni slegate dal
fattore 'tempo' (reazione seguente un attacco), ragione per cui
appare evidente che, nel rispetto del mantenimento della propria
integrità (istinto di conservazione) e di una rapida e continua
valutazione "costi/benefici", il ricorso alla scelta del 'gioco
d'anticipo' (strettamente funzionale alla circostanza, flessibile)
premia il "sacrificio" di una scelta strategico-tattica quasi sempre
vincente.
L’obiettivo principale deve
rimanere la tattica, strumento per realizzare a
tecnica.
Alcuni criteri di allenamento per lo sviluppo
delle capacità tattiche si basano essenzialmente su
metodi di controllo della fase competitiva, rilevazione statistica
degli errori commessi, elaborazione di test, studio di filmati,
ricostruzione delle situazioni particolari.
L'impostazione
didattica2, per agonisti e non, sarà
la stessa, variando però la situazione d'applicazione della
tecnica. La preparazione ad una gara richiederà,
ovviamente, una cura particolare della componente 'esercizio' e
relativo allenamento specifico.
Il compito
dell’insegnante tecnico di Autodifesa consiste nel mettere una persona
normale nelle condizioni di sapersi difendere da eventuali aggressioni,
in breve tempo.
Per conseguire tale obiettivo si deve
necessariamente impostare il Corso su pochi e semplici principi che
diventino istintivi e sui quali ogni allievo, a seconda della
propria indole, costruirà la sua esigenza di apprendimento e
quindi valuterà l’impegno da dedicare al Metodo che gli viene
insegnato.
Prevenire l’aggressione è
sicuramente la prima strategia della Difesa Personale. Tuttavia, la
possibilità di imparare tecniche, strategie e tattiche di D.P.
applicabili nelle diverse situazioni attraverso la riproduzione
simulata dell’offesa e il lavoro cognitivo (conoscenza delle
varie aggressioni, delle tipologie degli aggressori, delle
problematiche inerenti, ecc.) attiveranno le corrispondenti emozioni
allenandole ai processi di controllo. A tale proposito, le arti
marziali insegnano l'importanza di superare il conflitto e
l'avversario, per sviluppare un auto-controllo sempre
più profondo.
Il ‘Metodo Globale di Autodifesa’ della FIJLKAM (cenni)
Si tratta di un
lavoro studiato e messo a punto da uno speciale gruppo di autorevoli
Tecnici di ogni settore delle discipline federali, ciascuno di essi
avendo contribuito con l’apporto delle dirette esperienze sportive e
didattiche alla codificazione del metodo di base e dei successivi
livelli, con particolare riferimento alle sue applicazioni a situazioni
reali.
La particolarità di questo
metodo consiste nel fatto che esso non si basa sulle
prerogative fisiche dei praticanti, bensì sulla
capacità degli stessi di trasformare a proprio vantaggio le
energie utilizzate da chi intende offendere.
Poiché le tecniche che costituiscono il Metodo sono
estrapolate da arti marziali classiche della Federazione, MGA
dovrà o potrà essere definita una disciplina autonoma il
cui fine deve essere considerato esclusivamente l’addestramento
all’autodifesa seguendo criteri moderni che non stravolgono i contenuti
classici propri delle summenzionate discipline federali.
L’esigenza giuridica viene tutelata nella
misura in cui il praticante, conoscendo le tecniche su cui è
basato il Metodo ed applicandole nella maniera dovuta, agisce
nella piena legalità giacché le stesse, oltre che
rientrare tra le “cause oggettive di giustificazione del reato”, nella
generalità dei casi non lasciano tracce o segni di forza per il
fatto che tutto il metodo è costruito esclusivamente sulla
difesa e sulla capacità di controllare l’aggressore. Tutto
ciò coincide perfettamente con quanto prevede il nostro
ordinamento giuridico: a seguito di un’aggressione possono
scaturire conseguenze penali non solo a carico di colui (o colei) che
aggredisce, ma anche di chi è costretto a difendersi, a meno che
non si siano create le condizioni perché si possa chiamare in
causa l’esimente della “difesa legittima”.
MGA è una vera e
propria Arte Marziale, che non si propone come scopo quello di attirare
praticanti lasciando credere loro che dopo la frequenza di un breve
corso saranno “imbattibili”.
Potrebbe essere una disciplina per alcuni
versi propedeutica alle arti marziali federali, per altri versi
di recupero di tutti gli ex atleti che, una volta lasciato
l’agonismo, si sono allontanati definitivamente dalle palestre, ed
infine di avvicinamento per coloro che, solo in età
matura, intendono scoprire il piacere di praticare una disciplina
marziale non agonistica utile per la propria sicurezza.
Il programma, finalizzato
all’apprendimento del concetto di flessibilità e cedevolezza, si
presenta di facile attuazione e di notevole adattabilità alle
più diverse tipologie di praticanti; l’addestramento viene
effettuato all’insegna delle più aggiornate metodologie
didattiche.
Per un primo livello si ritiene
che si possa prescindere dall’allenamento classico delle arti marziali
sportive, eliminando dalla lezione la fase di riscaldamento mediante la
ginnastica tradizionale, che può essere sostituita agevolmente
dalla esecuzione di esercizi propedeutici che sicuramente saranno
graditi a quelle persone che hanno scelto di praticare una disciplina
che possa permettere loro di aumentare il livello di sicurezza
personale. Una preparazione atletica maggiore si potrà
prevedere per i praticanti di livello “avanzato” successivo.
A caratterizzare la metodologia didattica abbiamo la suddivisione dell’addestramento in due fasi distinte: una fase preparatoria, dedicata agli esercizi propedeutici; una fase dedicata esclusivamente alle tecniche applicate.
La particolarità della metodica
di allenamento consiste nel fatto che le azioni vengono eseguite in
sequenza durante un primo lavoro (tonificante)
effettuato molto lentamente, ma sempre con carichi naturali, per
consentire ai praticanti di tutte le età e forma fisica di
assimilare i principi, i movimenti e le posizioni corrette, senza
preoccuparsi della forza fisica né della perfezione tecnica.
Successivamente, durante un secondo
lavoro (dinamico), le stesse azioni le ritroveremo nelle
forme di difesa da aggressioni o minaccia con pugni, bastone, coltello
e pistola, ma verranno eseguite con un impegno “esplosivo” e con un
numero di ripetizioni superiore al precedente, rappresentando il
principale effetto allenante sull’organismo di colui che pratica.
Naturalmente l’intensità dell’allenamento aumenterà in
proporzione al livello tecnico e fisico raggiunto dai praticanti, per
concludersi con l’addestramento al combattimento reale.
Per evitare inutile confusione ai praticanti che si avvicinano per la prima volta alle arti marziali tipicamente nipponiche e per rendere più accessibile il metodo anche a persone di una certa età o che non sono cultori di arti marziali, si consiglia di prescindere dai vocaboli giapponesi che invece vengono conservati per gli insegnanti tecnici e per gli allievi che hanno già una conoscenza di tale terminologia.
Nota 1 :
I paradigmi
(modi di organizzare gli elementi della conoscenza, schemi di leggi
matematiche alla base delle deduzioni, modelli che orientano la
ricerca) sono "punti di vista", ottiche particolari applicate
ai problemi da indagare; sono le dimensioni esplicative dei fenomeni
generali, gli impianti interpretativi che illuminano fenomeni
particolari. La forza del paradigma è
proprio la consapevolezza di una sostanziale mutazione
delle certezze scientifiche che lo hanno preceduto; esso
determina una "riprogrammazione " delle leggi scientifiche e della
stessa visione del mondo.
Nota 2 :
La
verifica del livello di confidenza raggiunto (consapevolezza
delle proprie forze e limiti), rispetto a una realtà, avviene
per mezzo dell’effettuazione di una MISURA, in condizioni speciali
di totale coinvolgimento dell’entità ‘individuo’. Lo
strumento di questa misura si chiama ‘confronto con un campione’:
si tratta di un invito alla percezione dei movimenti in relazione
armonica, cedevole ma “decisa”, con gli Altri.
- Nota di 'Publishing' -