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in forma sequenziale (no ipertesto)

GIOCHIAMO “ALLA LOTTA”

Il gioco-sport è fondamentale per la crescita e la formazione non solo fisica, ma della totalità dell'essere umano, concorrendo all'armonico sviluppo della personalità.



Obiettivi

La pratica sportiva offrirà la possibilità, attraverso lavori :

• per la conoscenza/percezione del corpo nello spazio;
• per la coordinazione occhio-mano e segmentaria;
• sulla propagazione dell’onda  energetica;
• per l'affermazione della lateralità;
di:
• mettere in evidenza il bisogno di esprimersi attraverso il linguaggio corporeo, di far notare (dimostrando a se stessi e agli altri) cosa si è realmente “capaci di fare”;
• stimolare la creatività;
• divertire, coinvolgere e motivare;
• comprendere ed accettare regole attraverso la condivisione con gli altri;
• sviluppare gli schemi motôri;
• potenziare le capacità fisiche;
• vivere “in modo sportivo” la propria corporeità.
Metodi

L'insegnamento è caratterizzato soprattutto dal "globalismo" per consentire l'arricchimento delle capacità individuali di base (v. Complementi):

  • pluralità di schemi motôri elementari
  • polivalenza dei contenuti
  • personale interpretazione
  • fantasia individuale
  • Le lezioni apprese durante l'attività contribuiranno alla costruzione di quei Valori che formeranno l'adulto di domani.
     
     
     


    LE ARTI MARZIALI
    (compendio di cultura e sviluppo dell’Autodifesa)

    Nella nostra Società i termini violenza, aggressività e aggressione non sono certo nuovi o sconosciuti. Il vocabolo ‘violenza’, che contiene la radice “vis”, dal latino “forza”, è noto nella Storia fin dai tempi antichi ed è stato adoperato prima come sinonimo di forza fisica, successivamente anche per esprimere una forza mentale e psichica.  L’aggressività è uno dei temi maggiormente studiati nelle scienze umane ed uno dei più interessanti. Poiché l’aggressività svolge un ruolo importante nello sviluppo individuale e sociale, si può affermare che sia l’Uomo che le altre specie animali siano “aggressivi”.
    E’ anche importante sottolineare quanto il comportamento aggressivo abbia svolto, in un’ottica evoluzionistica, una vera e propria funzione utile alla sopravvivenza della Specie; per questo viene tramandato dalla memoria genetica in quanto parte del corredo comportamentale e non deve essere visto come una sorta di “patologia”.
    Arrecare un danno fisico è solo una delle strategie a disposizione della specie umana per imporre la propria volontà; ma accanto a questa ve ne sono altre, basti pensare al comportamento di prepotenza, al sopruso.  Le “buone” norme comportamentali non sempre vengono rispettate.
    L’aggressione intesa come atto di violenza effettuato contro una sola persona o un piccolo gruppo di persone e tutti gli atti violenti in genere sono quindi frequenti.
    L’Autodifesa nasce e si articola sul concetto di voler dare all’individuo, con adeguata preparazione, la possibilità di difendersi con efficacia, pur rimanendo nel rispetto delle leggi e delle normative vigenti, senza trasformarsi in giustizieri o volersi sostituire agli stessi tutori della legge.
    La situazione appena descritta, che dovrebbe costituire una presa di coscienza da parte di noi tutti per meglio affrontare ciò che l’impegno quotidiano ci può riservare, ha fatto sì che negli ultimi anni - e maggiormente nelle grandi città - si sia avvertito un notevole aumento della richiesta di corsi finalizzati in modo specifico all’Autodifesa.
    Forse per un fatto psicologico o forse per la loro impostazione sportiva di carattere agonistico, molti cittadini di tutte le età e di ambo i sessi, piuttosto che praticare un’arte marziale ben definita, preferiscono un Metodo di Autodifesa  che consenta loro di apprendere velocemente delle tecniche che li pongono in condizioni di difendersi, piuttosto che sottoporsi ad allenamenti duri e ripetitivi che daranno risultati, probabilmente, soltanto dopo anni di pratica e di sacrifici.
     

    In virtù di una certa esperienza nelle varie forme di lotta mi accingo, allora, ad illustrare un percorso formativo per interpretare nelle applicazioni questa materia, secondo la mia modesta opinione.
     
     

    Un po’ di storia del Judo

        Il Judo (“via della cedevolezza”) è la prima arte marziale ad essere stata inserita a pieno titolo nell’elenco degli sport olimpici. Deriva dal Jujutsu (forma codificata di lotta a corpo "senza esclusione di colpi") ed è il frutto di una lunga elaborazione, grazie ad una serie di studi condotti inizialmente dal maestro giapponese Jigoro Kano che nel 1882 fondò a Tokyo una scuola di questo stile in una palestra chiamata ‘Kodokan’, uno dei maggiori punti di riferimento per tutti i praticanti.
    Kano eliminò dal Jujutsu quelle tecniche che avrebbero potuto danneggiare in maniera permanente il proprio avversario,  concentrandosi nello sviluppo e miglioramento della qualità ed efficacia dei movimenti di difesa e di attacco "leggero":  lo spirito del Judo si fonda sul principio di mutua prosperità.  Dai primi anni del 1900 esso è riconosciuto ufficialmente come arte marziale (è tutt’oggi materia di studio nelle scuole del Giappone e di altri Paesi) ed è stato ammesso come sport ai Giochi Olimpici nel 1964.
        E’ la base per lo studio della flessibilità, educazione all’equilibrio interiore ed esteriore, alla sensibilità, alla prontezza, al controllo della persona.  Si può dimostrare come le tecniche del Judo siano sufficienti a controllare gli attacchi di un avversario "a mani nude" o "armato (a distanza ravvicinata)", ma qui è importante spiegare in maniera sintetica i termini cedevolezza  e flessibilità :
    la cedevolezza potremmo qualificarla come una condizione necessaria al corretto sviluppo della flessibilità.  Interpretando infatti la realizzazione di uno schema motorio come concetto appartenente al dominio della comunicazione e controllo di un sistema, ci si accorge che cedere inizialmente ad un'azione offensiva favorisce quel processo (comunicazionale) di conoscenza e meccanismo di controreazione all'evento che può portare, nell'individuo allenato, alla risposta efficace (sfera del controllo) con il minore dispendio di energia.

    I principi morali del Judo si basano su concentrazione e lealtà;  è diffuso e praticato con successo in tutto il mondo, sia ad uso amatoriale e didattico (con un'alta affluenza di bambine e bambini), sia sotto il profilo agonistico.  La 'International Judo Federation'  determina e regola con precisione gli aspetti tecnici e promozionali.  Stiamo trattando della disciplina, fra le arti marziali, insegnata nel modo più uniforme.
     
     

    Gli elementi del Judo

        Quest’arte consente l’apprendimento di tecniche per cogliere dinamicamente e trasformare vantaggiosamente l’energia cinetica;  la sua maestria richiede una perfezione di esecuzione, che viene raggiunta quando la tecnica trascende la fase conoscitiva e raggiunge la naturalezza.

        Particolarmente adatto ai più piccoli, insegna loro a cadere nel modo corretto sviluppando - secondo l’età - equilibrio mobilità e destrezza.  Per facilitare l'apprendimento degli schemi motôri fondamentali, viene insegnato come attività ludica fatta di corse, salti, capriole, cadute:   in palestra i bambini svolgono esercizi completi che interessano in maniera equilibrata tutti i gruppi muscolari, cuore e polmoni, salvaguardando e spesso anche correggendo eventuali “vizi” posturali.  In questa fase iniziale non si eseguono le tecniche di gara, ma giochi, appositamente studiati dagli Istruttori, che riproducono i gesti tecnici e aiutano il bimbo ad avvicinarsi per gradi alla disciplina, insegnandogli a dominare i movimenti che diventeranno più armonici e controllati.  Grazie a questo tipo di lavoro egli scoprirà da solo la tecnica al momento opportuno, acquisendola come nuova esperienza  e consentendo al "proprio" di Judo di evolvere.

        Possiamo dire che l'essere umano gioca tutta la vita, quando ha la possibilità di farlo. Solo l'individuo che ha giocato in piena libertà, senza imposizioni a frustrazioni, sarà un adulto psicologicamente sano ed equilibrato:  nel gioco si realizza la personalità, smitizzando cose o situazioni e riportandole sotto il controllo emotivo attraverso il superamento di un processo di drammatizzazione.

    Il gioco è quindi un mondo fantastico e reale nello stesso tempo, un contesto di comunicazione e apprendimento di comportamenti sociali, un'attività biologica primaria, indispensabile per mantenere un buon equilibrio neurodinamico; solamente attraverso il gioco l'individuo, specialmente in età evolutiva, può liberamente esternare la propria esuberanza vitale, anche se bisogna sempre tenere presente che il gioco è un insieme di regole.  Compito dell'insegnante sarà quello di non permettere che la forma ludica venga mortificata da vincoli troppo rigidi.

    Con il gioco si realizzano anche quelle condizioni che, grazie alle diverse e molteplici esperienze, permettono varie modalità esecutive del movimento nella coordinazione, precisione, funzionalità ed efficienza.
     
     

    Evoluzione

        Una valida applicazione, per lo sviluppo delle capacità psicofisiche e l’elaborazione delle molteplici opportunità che emergono e si articolano funzionalmente a circostanze e lunghezze operative, è possibile riscontrarla nella pratica dell’autodifesa  come arte marziale, sul principio universale di cedevolezza (strategia che si concretizza nell'assecondare i movimenti dell'aggressore per rivolgere contro di lui la sua stessa forza applicata)  ed il supporto di un metodo globale di studio.

        Nella Difesa Personale trattiamo della "riscoperta" delle potenzialità difensive che ciascuno possiede,  attraverso lo sviluppo consapevole di appropriati meccanismi psicofisici. Sarà possibile prevenire situazioni eccessivamente rischiose o contrastare aggressioni non previste, almeno per limitare i danni nel caso si fosse costretti a reagire ad una violenza.  Il metodo è basato su un'attività utile per il benessere dei praticanti; economia ed efficacia sono termini chiave, in relazione all'energia e risultato ottenuto.   La Difesa Personale non è uno sport da combattimento o un’arte marziale classica, ma sviluppa uno studio, all’interno del metodo di autodifesa, delle due situazioni di 'DIFESA PERSONALE' (propriamente detta) e 'COMBATTIMENTO CORPO A CORPO', con la seguente distinzione:

  • nella Difesa Personale le tecniche possono essere semplici;  non esiste scelta, si è obbligati a difendersi;
  • nel combattimento sportivo esistono situazioni più articolate, dove entrano in gioco fattori diversi (per es. la durata prolungata);  esiste la possibilità di scegliere se cimentarsi in un confronto oppure ritirarsi.
  • Il possesso di una condizione psicologica ad “entrare nel combattimento”, se necessario, è fondamentale.

        Tornando al Judo, come forma di espressione che si sviluppa anche attraverso la componente agonistica, vorrei fornire alcuni spunti da utilizzare per la finalizzazione del lavoro sul tappeto  (‘tatami’).
    Per 'competizione sportiva' si intende uno scontro, governato da un codice di comportamento, fra due atleti che giungono a contatto dando inizio ad un confronto, con una miriade di azioni di attacco, espedienti per la difesa e contrattacchi, che si susseguono necessariamente fino al prevalere dell'uno sull'altro avversario (rammentiamo che il successo non coincide con la vittoria  e la sconfitta  non coincide con il "perdere").
    Lo sforzo degli antagonisti viene realizzato secondo alcuni concetti da cui derivano gli articoli contenuti nel regolamento di gara e secondo condizioni particolari della competizione, definite come opportunità, che derivano dalla personalità e preparazione tecnica propria e dell'avversario. Innumerevoli manifestazioni hanno mostrato la validità sperimentale di questi concetti, mentre l'analisi biomeccanica ne dimostra la correttezza scientifica.
     
     

    Conclusioni

        Un’osservazione relativa al complesso tessuto sociale odierno, tiene conto dell’aspetto di deterrenza  nei confronti del comportamento violento di qualche “malintenzionato”.   Da un punto di vista della didattica e dei risultati, penso che le varie forme illustrate (v. Complementi) siano coerentemente orientate alla preparazione di un individuo - femmina o maschio, di qualunque età o estrazione - che sarà in grado di affrontare casi di tipo "reale" (per mezzo dell’opportuna e istantanea valutazione del contesto situazionale) ancorché di tipo 'agonistico'.

        Nella trattazione esposta ho cercato di fornire una chiave per arrivare alla comprensione di un sistema che nasce da un’esperienza documentata di molti anni di studio e di pratica, con la speranza di portare un po' di luce nel mare di informazioni devianti e confuse dovute all’uso commerciale o spettacolare della nobile ‘arte del guerriero’.
     
     
     


    - ALCUNI COMPLEMENTI -

    Il movimento umano finalizzato, ovvero la capacità di interazione motoria con l'ambiente, è reso possibile dalla serie di funzioni nervose e processi che precedono organizzano e seguono il movimento stesso.  La maggior parte degli atti motôri che vengono effettuati da un individuo sono in risposta a variazioni ambientali o del contesto situazionale.  Un atto motorio può dunque essere considerato un processo (aspetto della comunicazione) guidato da un programma (aspetto del controllo) finalizzato ad uno scopo. Vale a dire che ogni atto motorio determina, o impedisce che si determini, una situazione.
     
     

    Riflessi condizionati e automatismi

        L'assimilazione della tecnica coinvolge sia la fisiologia che la psicologia di un individuo/entità biomeccanica. Nell'apprendimento di una tecnica, o in generale di un'azione motoria semplice o complessa, bisogna tenere conto del cosiddetto tempo di reazione, inteso come intervallo di tempo che intercorre fra lo stimolo (conscio o inconscio) e la contrazione muscolare che espleta l'azione motoria.
    La ‘teoria dinamica della competizione’ si fonda sull'analisi delle forze agenti e sul loro collegamento funzionale con la velocità di esecuzione del compito motorio all'interno dell'entità coppia di atleti, che a sua volta si muove con una propria velocità di spostamento.  Il parametro velocità  gioca dunque un ruolo fondamentale nella teoria della competizione, sia come velocità relativa di esecuzione di un attacco, sia come velocità assoluta di spostamento della coppia.  Infatti, ad ogni ritmo, associato a tale velocità, è possibile collegare l'esecuzione di tecniche opportune. Nella fase di competizione, inoltre, possiamo individuare due aspetti  estremi, uniti da una serie di stati intermedi senza soluzione di continuità: quello psicologico e quello tecnico.
    Ovviamente, più complessa risulterà la tecnica o l'azione motoria, come difficoltà di movimento, maggiore sarà il tempo di reazione.   L'allenamento all'assimilazione di una tecnica prevede in genere la ripetizione successiva di un movimento, in modo da trasferire il meccanismo motorio dalla zona corticale primaria alla zona premotoria, non più esattamente conscia (riflesso condizionato). Tuttavia, la ripetizione "esasperata" di un determinato movimento, sotto un particolare stimolo, può produrre il risultato negativo di un riflesso condizionato, fatto questo certamente sconveniente: reagire sempre nello stesso modo a un determinato stimolo sensoriale può condurre l'avversario (definito ‘Uke’) ad avvantaggiarsi, ad es. con una finta, di questo riflesso condizionato divenuto ormai reazione inconscia.
    Insieme con il potenziamento di sensibilità e prontezza, risulta certamente di maggiore utilità sviluppare degli automatismi  piuttosto che dei condizionamenti.  L'automatismo, come il condizionamento, è caratterizzato dalla possibilità di eseguire la tecnica o l'azione motoria senza fissare, in modo particolare, l'attenzione conscia sul processo di esecuzione. Come si può notare, la definizione è analoga a quella di riflesso condizionato, tuttavia ciò che distingue questi due tipi di processi fisiologici tra loro è il grado di coscienza latente presente nei due. Si potrà così affermare che mentre nel caso dei riflessi condizionati la zona di coscienza latente è minima, al contrario nel caso dei riflessi automatici questa è maggiore, rendendo l'atleta più incline a formulare un giudizio corretto a fronte di qualsivoglia minima variazione nell'azione intrapresa dall'avversario, potendo infine prendere le opportune precauzioni o contromisure nel corso della fase competitiva.
     
     

    Lo sfruttamento dell'energia cinetica e del momento angolare

        Lo studio dell'iniziativa e del suo sfruttamento può prescindere dal concetto di attacco o di difesa. Infatti, se per la difesa è importante conservare sempre l'iniziativa, in modo da sfruttare al meglio tutti i movimenti propri e dell'avversario (per poter, ad es., effettuare una tecnica di proiezione), si comprende come ogni difesa può essere considerata un attacco e viceversa.  L'iniziativa (qui intesa, anche, come anticipo sull'azione di un avversario) è stata oggetto di ricerche e studi presso numerose antiche scuole di arti marziali, fino ad essere codificate nei cosiddetti "libri dei principi segreti"  propri di ogni Scuola.

        Le considerazioni biomeccaniche che seguiranno saranno riferite all'analisi del raggruppamento biodinamico "coppia di atleti", cioè delle azioni che ‘Tori’ (contrapposto ad ‘Uke’) dovrà effettuare in relazione alle corrispondenti azioni o posizioni di Uke.
    In una competizione possono individuarsi tre forme base di sfruttamento dell'energia, denominate, secondo l'antica classificazione giapponese:
       1.  ‘SEN’  (l'iniziativa) che si esprime al meglio con il corretto uso dei ‘Renzoku waza’ (tecniche concatenate) e ‘Renraku waza’ (tecniche successive);
       2.  ‘GO NO SEN’  (il contrasto dell'iniziativa) che si espleta mediante i ‘Bogyo waza’ (tecniche difensive);
       3.  ‘SEN NO SEN’  (l'iniziativa sull'iniziativa) che si ottiene con l'uso dei ‘Kaeshi waza’ (contro tecniche).
    1)    Il principio ‘Sen’  (proposizione dell'iniziativa) è sicuramente il modo più diretto di sfruttare l'iniziativa, attraverso un'azione diretta e mediante un'azione positiva (‘omote’). Si utilizzerà, per una caratterizzazione più articolata dell'iniziativa tipo ‘Sen’, come fattore discriminante, il tempo precedente o susseguente l'attuazione della propria tecnica speciale (‘Tokui waza’).
    A scopo didattico, può essere utile conoscere la seguente suddivisione per gli attacchi :

  • diretto con il proprio speciale;
  • ripetuto con una medesima tecnica;
  • ripetuto in concatenazione successiva con altra tecnica (‘Renzoku waza’);
  • esecuzione e variazione in altra tecnica a causa di una difesa anticipata di Uke (‘Renraku waza’);
  • seguente una finta (‘Damashi waza’).
    2)    Il principio ‘Go No Sen’ (contrasto dell'iniziativa: percezione ottenuta dai cinque - ‘go’ - sensi) viene applicato nelle tecniche denominate ‘Bogyo waza’ (tecniche di difesa). La scuola giapponese prende in considerazione, per la classificazione didattica, i vari possibili principi informatori delle azioni che Tori, subendo l'attacco, può compiere nel contrastarlo, prima di effettuare o nello sviluppare la controffensiva. Tali principi sono :
    ‘Go’ = rompere, bloccare;  ‘Chowa’ = evitare, schivare;  ‘Yawara’ = cedere, assecondare;  ‘Ura’ = (annullare) indietro;
    Appare utile notare che Tori effettuerà la sua tecnica difensiva dopo che l'azione di Uke si sarà sviluppata e sarà risultata inefficace.  In generale, si riscontrerà un ritardo tra l'attacco portato da Uke e l'inizio della controffensiva di Tori.  Il tempo acquista, in tali azioni difensive, un ruolo fondamentale; infatti il contrattacco risulterà tanto più efficace e meno dispendioso dal punto di vista energetico se, ad esempio, verrà effettuato al termine della mossa di Uke, in modo che egli non sia più in posizione di forza (quantità di moto nulla) e prima che si sia potuta realizzare una nuova posizione di equilibrio.
    3)    Il principio ‘Sen No Sen’ (l'anticipo/iniziativa  sull'anticipo/iniziativa) è forse la forma di azione più delicata da applicare. Durante la sua attuazione, le due iniziative presenti nel raggruppamento biodinamico si confondono in un unico insieme dinamico. Nella esemplificazione ideale di tale azione, Tori sviluppa la sua controffensiva  nell'istante in cui sta per partire l'offensiva di Uke.
    Questo principio è da considerarsi una forma avanzata e superiore di iniziativa/anticipo che presuppone, per poter essere correttamente effettuata, capacità psicofisiche eccellenti, riflessi pronti e forma atletica perfetta. Tale tipo di azione ha certamente il vantaggio di potere più facilmente sorprendere l'avversario, tutto teso, mentalmente e fisicamente, all'attacco che sta portando. Essa ha altresì il vantaggio del massimo utilizzo dell'energia, sfruttando la fase iniziale della transizione da energia potenziale muscolare ad energia cinetica.  La sua pratica, di fatto, esige una perfetta percezione dell'opportunità presente, una completa padronanza del suo sfruttamento ed una grande velocità di esecuzione, tale da poter superare quella di Uke.
     
     

    Strategia e Tattica

        Ogni competizione è dotata di una propria "chiave" per il successo, fondata sui valori tecnici e psichici espressi dagli atleti in azione. Spesso le nozioni fondamentali generiche (come ad es. lo squilibrio o, più in generale, le catene cinetiche favorevoli) sono concetti variabili dipendenti da molti fattori, come le azioni proprie, quelle dell'avversario, la velocità di spostamento del raggruppamento biodinamico, le prese, le posizioni relative.  Pertanto è necessario ed utile considerare una strategia della competizione, che si interessi della questione della coordinazione delle forze in gioco o degli sforzi armonizzati con i movimenti relativi.
    La  strategia fornisce l'atleta di concetti generali per governare lo svolgimento armonico della competizione; la tattica richiede che egli abbia la capacità del corretto apprezzamento della fase transitoria, dell'attimo fuggente, che può fargli ottenere la vittoria. Si potrà dire che la strategia è materia pertinente l'intuizione razionale e si può pensare di prepararla opportunamente, la tattica è materia pertinente l'intuizione irrazionale e si esprime solo se l'atleta ha raggiunto un sufficiente grado di confidenza nei confronti della tecnica.
     

        Come esempio e testimonianza diretta di una lunga esperienza vissuta, sembrano significative le considerazioni del grande campione giapponese Isao Okano :

    << Il mio approccio al Judo può essere riassunto nell'idea dell'ultimo incontro. Una volta che questo è incominciato, misuro l'uomo e decido quali tecniche potranno avere maggiore efficacia. Ma faccio questo solo all'inizio, dopo conformo le mie azioni al modo in cui le cose evolvono, mentre naturalmente mi sforzo di mantenere l'iniziativa.  Ovviamente durante l'incontro possono sorgere due, tre possibilità per certe tecniche, ma in ogni caso il tentativo di forzare queste possibilità e di applicare le tecniche senza considerare il corso dell'azione, altera il proprio calcolo del tempo. Per questa ragione, tento di mantenere costantemente in movimento le cose e afferrare qualunque opportunità si presenti. In altre parole, è indispensabile fronteggiare gli attacchi eventuali e far seguire le tecniche bene applicate l'una all'altra in rapida successione, accrescendo la possibilità per un attacco finale. La forza e l'abilità tecnica da sole non assicurano la vittoria negli incontri: è necessaria un'acuta attività mentale.  Si deve essere abili a prevedere le mosse che l'avversario farà e valutare accuratamente le sue reazioni alle nostre mosse.
    [ . . . ]
    Nessuno è completamente forte senza punti deboli, ma una conoscenza di essi con un sincero desiderio di vincerli possono diventare trampolini per la nascita di una più grande forza. [ . . . ] >>
     
     

    Il significato di ‘Metodo e Modello di insegnamento’ nelle Arti Marziali

    Premessa :
        Concetto storicamente legato al problema dell'acquisizione della certezza in campo conoscitivo, si intende per metodo il processo mentale attraverso cui si vuole raggiungere un certo fine. Nell'accezione letterale ‘méthodos’ vuol dire "battere una strada per uno scopo determinato" e l'originaria definizione evidenzia anche la componente motoria delle operazioni metodologiche.  Il metodo rappresenta anche una modalità adattiva, cioè le operazioni di un oggetto che si adatta, per esperienze successive, alla realtà.  Fu Socrate fra i primi ad avere la consapevolezza del rapporto tra la validità di una conoscenza e il modo in cui essa viene raggiunta.
        Modello  è la rappresentazione, anche schematica, di un sistema formale.  E' la semplificazione di un oggetto di studio e di ricerca che si avvale spesso di analogie con altre discipline.  E' pure descrivibile come la realizzazione di una teoria, in cui vengono soddisfatti tutti i principi validi per la teoria stessa.
    Teoria  è un insieme integrato di ipotesi, esplicitate dal ricercatore, per spiegare un insieme di eventi o di fenomeni osservati. Le teorie, solitamente, spiegano risultati o dati esistenti mediante una generalizzazione e possono prevedere nuovi fatti o risultati.
    Principio  è ciò che sta alla base di una teoria; è, in un ente, un fattore distinguibile da altri, ma non separabile, che concorre a costruire l'ente stesso.
    Ipotesi è un'asserzione che si considera provvisoria (sulla base della quale vengono attivati esperimenti ed esperienze) che in seguito può essere accettata o respinta. E' anche indicata come una "teoria provvisoria" per spiegare fatti osservati.  Le fasi della sperimentazione  sono quattro :
    1. L'osservazione, che permette di scoprire o mettere in evidenza i fatti rilevanti e conoscerli con la precisione desiderata o possibile;
    2. La formulazione delle ipotesi sulle relazioni che possono esistere tra i fatti;
    3. La sperimentazione propriamente detta, che si propone di verificare le ipotesi;
    4. L'elaborazione dei dati e la loro interpretazione.

    Anche nella storia recente si è parlato di teoria del metodo, passando da una sua concezione algoritmica, cioè una procedura formale per produrre un risultato corretto e ottimale, a una concezione strategica, in cui il metodo non è soltanto qualcosa di statico, ma si caratterizza nel suo processo dinamico, avendo come referente l'esperienza.  In un certo senso, con definizione ricorsiva, si può affermare che la teoria del metodo tratta delle scelte dei metodi, cioè delle decisioni sul modo in cui si devono trattare le asserzioni scientifiche.
    La scienza è caratterizzata dai suoi metodi e le regole metodologiche sono da considerarsi delle convenzioni, delle "regole del gioco", che un gruppo di persone (in un dato momento storico) decide di accettare e condividere.

    Avvicinarsi alla tecnica per passi :
        Per le Arti Marziali è importante scomporre una tecnica nei suoi movimenti essenziali, richiamando l'attenzione sulla "sostanza" e lasciando i dettagli a quando colui/colei che pratica avrà una preparazione via via migliore.  Non da meno viene considerata la simmetria nelle esecuzioni, anche ai fini della scoperta della cosiddetta lateralità,  propria di ciascun individuo.  Il passo successivo sarà quello di radicare l'idea della  dinamicità, cioè porre attenzione allo spostamento del compagno;  infine, esercitare la tecnica opportunamente selezionata o "scoperta".  A tale proposito, rimane importante per chi insegna la capacità di "ascoltare" la Classe (sia durante lo svolgersi delle lezioni che nell'articolazione globale del Corso) cercando di capire e interpretare aspettative e progressi degli allievi, monitorando e verificando i risultati ottenuti rispetto agli argomenti presentati, perfezionando la metodologia d'insegnamento.
    Va inoltre sottolineato come, dalla prima infanzia fino alla maturità ed oltre, ogni attività motorio-sportiva (ma, diciamolo pure, non solo questa) ha sempre nella motivazione ludica una componente fondamentale. Questo fatto ha conseguenze metodologiche importanti che condizionano l'insegnamento dei primi elementi del gesto tecnico sportivo, da collocarsi in un contesto ludico: senza mai avere carattere di estrema specificità e monotonia, ma destare interesse e curiosità nell'apprendimento.  Ampio spazio andrà sempre riservato al miglioramento di tutte le capacità motorie, soprattutto con esercitazioni di gruppo e con ‘partner’, giochi di squadra, a coppie, piccoli elementi di acrobatica, uso di attrezzi ginnici, etc.
        Un continuo e successivo raffinamento va senz'altro bene, tenendo anche nella dovuta considerazione i possibili (e attesi) salti qualitativi durante le fasi dell'apprendimento generale. Infatti, in contrapposizione all'idea di un'evoluzione del sapere come azione "cumulativa", esiste una visione di progresso che si attua per salti paradigmaticiLa conoscenza non viene interpretata quindi come sapere in evoluzione lineare, non è un programma che aggiorna i propri dati in ordine di maggiore complessità nel tempo, ma è un organismo che muta nel tempo1.
    Del resto, vivendo praticamente attraverso l’esperienza quanto già acquisito in ambito scolastico/”accademico”, sarà possibile integrare, completare ed infinitamente arricchire il proprio “bagaglio” di conoscenze.
     
     

    Preparazione tecnica

        Nelle discipline ove si ha un'interazione diretta fra gli antagonisti, la composizione delle azioni tecniche varia di molto, ma di solito comprende le azioni elementari combinate nella forma migliore.
    La struttura dell'insieme di movimenti che determina una tecnica è prodotta dai suoi elementi, legati reciprocamente, in modo tale da contribuire al perfezionamento dell'azione, generando così il sistema e le sue proprietà.  Gli ‘sport di combattimento’ possono essere considerati come una disciplina di situazione, cioè caratterizzati dalla grande variabilità delle situazioni.  La tecnica deve risolvere compiti motôri complessi, in relazione alle mutevoli condizioni di competizione; l'atleta dovrà possedere una grande varietà di azioni tecniche legate a una vasta capacità di adattamento e fantasia.  Data la complessità di ogni individuo, nella struttura di una tecnica sembra opportuno considerare sia aspetti cinematici e dinamici quanto quelli emotivo-intellettivi (poiché, ricordiamo, mente spirito e corpo si condizionano e completano a vicenda).  Alla base del perfezionamento abbiamo la costruzione di un sistema motorio adeguato (movimenti opportuni, cinetica, dinamica, apprendimento).  Chiaramente, l'abilità dipenderà dalla correttezza di tale sistema, che si modifica migliorandosi continuamente grazie all'esercizio.
    Gli scopi fondamentali dell'allenamento tecnico possono essere identificati nello svolgimento delle seguenti attività :
    1.  acquisizione delle tecniche di base;
    2. metabolizzazione (acquisizione durevole) del gesto;
    3. perfezionamento della tecnica in funzione delle particolarità del soggetto allenato;
    4. stabilizzazione della sicurezza, in funzione di situazioni difficili (affaticamento, tensioni emotive, etc.)

    Possiamo evidenziare quattro fasi didattiche successive, che permetteranno l'uso della tecnica in situazioni “critiche” :
    1. fase conoscitiva:  serve a far conoscere la tecnica standard, attraverso l'esecuzione dimostrativa dell'istruttore;
    2. fase sperimentale:  l'atleta deve trasformare l'immagine motoria in movimento del proprio corpo, attraverso la sperimentazione pratica;  l'istruttore dovrà avvalersi del metodo di scomposizione (differenziazione) e di unificazione (integrazione) per correggere gli errori esistenti nell'esecuzione;
    3. fase stabilizzante:  scopo precipuo è la costituzione dell'automatismo motorio, che deve essere raggiunto attraverso i metodi delle ripetizioni e delle variazioni.  L'istruttore dovrà curare un opportuno equilibrio nella combinazione dei due metodi, onde evitare la formazione di strutture motorie stereotipate (caratteristiche del metodo ripetitivo), in modo da fornire all'atleta l'adattabilità motoria indispensabile per le discipline di situazione;
    4. fase strategica:  consiste nell'accrescimento dell'adattabilità alle situazioni di gara, mediante lo stimolo alla  creatività, che si esprime come rapida capacità di adattamento alla situazione contingente.

    In generale, le fasi di un corretto programma di allenamento possono considerarsi l'integrazione, la differenziazione e l'individualizzazione di una tecnica standard (il risultato di un determinato sistema motorio applicato all'entità biomeccanica) :

  • differenziazione, data dalla frammentazione, ad uso didattico, del movimento globale in numerose parti differenti. Essa permette un migliore apprendimento e la chiara specializzazione degli elementi nello schema motorio, evidenziandone il ruolo fondamentale o secondario;
  • integrazione,  data dal concorso di numerosi movimenti semplici, fino alla costruzione del gesto completo in un unico e fluido movimento continuo. Tutti i movimenti semplici dell'esecutore confluiscono in un'azione rivolta alla soluzione finale dell'obiettivo posto dal compito motorio;
  • individualizzazione, prodotta dall'adattamento della tecnica standard alle particolarità tipologiche del soggetto allenato, utilizzando le sue qualità positive al meglio.
  • Il miglior apprendimento della tecnica consentirà di analizzarla e rifinirla con maggiore precisione; a  qualsiasi livello, in un corretto programma (condotto per approssimazioni successive), le fasi di differenziazione (scomposizione) e integrazione (unificazione), impiegate secondo necessità, permetteranno uno svolgimento del compito motorio (la tecnica)  più compatto e accurato.

    Quando osserviamo una tecnica (di attacco  o difesa), il nostro compito è di valutarla con spirito critico.

        La classificazione delle forme di lotta in piedi nasce da una duplice esigenza:  raggrupparle, secondo alcuni criteri logici, permettendo una facile comprensione ed un sistematico studio razionale; ordinarle in una struttura sequenziale opportuna, per consentirne l’apprendimento graduale tale da permettere infine al principiante di padroneggiare la tecnica nella sua interezza.
    Nel caso delle proiezioni vengono utilizzate al meglio alcune vantaggiose condizioni che si presentano nel corso di un incontro.  L'applicazione di una tecnica di proiezione è subordinata alle favorevoli opportunità o alle circostanze transitorie che in una competizione (rapidamente) sorgono e svaniscono.

        Nelle forme di lotta al suolo vanno curati:  l'approccio alle immobilizzazioni, ai passaggi fra le stesse, ponendo l'accento sull'uso appropriato del corpo anzichè sull'afferrare del tessuto (quello della eventuale casacca);  l'uso dei rovesciamenti, al fine di avviare il praticante a scartare la condizione di passività. Nel contempo, portare all'assimilazione del concetto relativo allo spostamento continuo del corpo su di un fianco o l'altro;  gli esercizi propedeutici, con la finalità di acquisire le corrette posture.

        Nelle forme di autodifesa, in generale, si impara a gestire situazioni “reali” (nei limiti dell'esercizio preparatorio svolto) piuttosto che competizioni normate da regolamenti. L’efficacia della tecnica e la tutela/integrità di chi si difende sono dunque essenziali.  Nella fattispecie, si tratta di una pratica finalizzata a una forma di difesa che attraversa le varie culture e arti marziali, secondo il principio di ‘cedevolezza’ e ‘flessibilità’:  le tecniche impiegate non privilegiano la forza fisica né la violenza ma, se applicate correttamente, possono salvaguardare la persona che le utilizza da spiacevoli conseguenze per la propria incolumità.
        L’identificazione di un evento, perché possa essere controllato, è tanto più importante e rapida quanto più vario è l’addestramento:  il cervello riconosce con maggior efficienza/velocità eventi dai quali è stato già sollecitato;  ad una corretta identificazione corrisponderà una decisione rapida e quindi la reazione appropriata.  Ma non è tutto: l'effetto sorpresa, esercitato solitamente in caso di attacco, non ci permette (per quanto si possa essere tempestivi nel difendersi) di adottare la contromisura in modo sufficientemente repentino;  assecondando, allora, inizialmente e nel modo opportuno la forza dell'aggressore - cedendo  alla direzione della dinamica imposta - avremo il tempo per effettuare quell'identificazione così importante che ci consentirà di "replicare" in maniera adeguata (trasformando il campo di forze mediante tecniche applicabili secondo la corretta interpretazione degli atti motôri) e nel rispetto dei canoni usuali della legittima difesa, cioè commisurando la nostra reazione all'entità dell'attacco subìto.  In caso di colluttazione "obbligata" può essere utile (con le dovute precauzioni) ridurre la distanza per anticipare le mosse dell'avversario, attraverso la ricerca del contatto a corpo, che aiuta a migliorare la sensibilità verso le minime vibrazioni, segnali di moto incipiente.  Osserviamo inoltre che lo sviluppo del fenomeno 'stimolo-risposta', in una situazione dinamica 'causa-effetto' che si svolge fra organismi complessi, può comportare in realtà una successione di azioni slegate dal fattore 'tempo' (reazione seguente un attacco), ragione per cui appare evidente che, nel rispetto del mantenimento della propria integrità (istinto di conservazione) e di una rapida e continua valutazione "costi/benefici", il ricorso alla scelta del 'gioco d'anticipo' (strettamente funzionale alla circostanza, flessibile)  premia il "sacrificio" di una scelta strategico-tattica quasi sempre vincente.

    L’obiettivo principale deve rimanere la tattica, strumento  per realizzare a tecnica.
    Alcuni criteri di allenamento per lo sviluppo delle capacità tattiche si basano essenzialmente su metodi di controllo della fase competitiva, rilevazione statistica degli errori commessi, elaborazione di test, studio di filmati, ricostruzione delle situazioni particolari.

        L'impostazione didattica2, per agonisti e non, sarà la stessa, variando però la situazione d'applicazione della tecnica.  La preparazione ad una gara richiederà, ovviamente, una cura particolare della componente 'esercizio' e relativo allenamento specifico.
        Il compito dell’insegnante tecnico di Autodifesa consiste nel mettere una persona normale nelle condizioni di sapersi difendere da eventuali aggressioni, in breve tempo.
    Per conseguire tale obiettivo si deve necessariamente impostare il Corso su pochi e semplici principi che diventino istintivi e sui quali ogni allievo, a seconda della propria indole, costruirà la sua esigenza di apprendimento e quindi valuterà l’impegno da dedicare al Metodo che gli viene insegnato.
    Prevenire l’aggressione è sicuramente la prima strategia della Difesa Personale. Tuttavia, la possibilità di imparare tecniche, strategie e tattiche di D.P. applicabili nelle diverse situazioni attraverso la riproduzione simulata dell’offesa e il lavoro cognitivo (conoscenza delle varie aggressioni, delle tipologie degli aggressori, delle problematiche inerenti, ecc.) attiveranno le corrispondenti emozioni allenandole ai processi di controllo.  A tale proposito, le arti marziali insegnano l'importanza di superare il conflitto e l'avversario, per sviluppare un auto-controllo sempre più profondo.
     
     

    Il ‘Metodo Globale di Autodifesa’ della FIJLKAM (cenni)

        Si tratta di un lavoro studiato e messo a punto da uno speciale gruppo di autorevoli Tecnici di ogni settore delle discipline federali, ciascuno di essi avendo contribuito con l’apporto delle dirette esperienze sportive e didattiche alla codificazione del metodo di base e dei successivi livelli, con particolare riferimento alle sue applicazioni a situazioni reali.
    La particolarità di questo metodo consiste nel fatto che esso non si basa sulle prerogative fisiche dei praticanti, bensì sulla capacità degli stessi di trasformare a proprio vantaggio le energie utilizzate da chi intende offendere.  Poiché le tecniche che costituiscono il Metodo sono estrapolate da arti marziali classiche della Federazione, MGA dovrà o potrà essere definita una disciplina autonoma il cui fine deve essere considerato esclusivamente l’addestramento all’autodifesa seguendo criteri moderni che non stravolgono i contenuti classici propri delle summenzionate discipline federali.
    L’esigenza giuridica viene tutelata nella misura in cui il praticante, conoscendo le tecniche su cui è basato il Metodo ed applicandole nella maniera dovuta, agisce nella piena legalità giacché le stesse, oltre che rientrare tra le “cause oggettive di giustificazione del reato”, nella generalità dei casi non lasciano tracce o segni di forza per il fatto che tutto il metodo è costruito esclusivamente sulla difesa e sulla capacità di controllare l’aggressore.  Tutto ciò coincide perfettamente con quanto prevede il nostro ordinamento giuridico:  a seguito di un’aggressione possono scaturire conseguenze penali non solo a carico di colui (o colei) che aggredisce, ma anche di chi è costretto a difendersi, a meno che non si siano create le condizioni perché si possa chiamare in causa l’esimente della “difesa legittima”.

    MGA è una vera e propria Arte Marziale, che non si propone come scopo quello di attirare praticanti lasciando credere loro che dopo la frequenza di un breve corso saranno “imbattibili”.
    Potrebbe essere una disciplina per alcuni versi propedeutica alle arti marziali federali, per altri versi di recupero di tutti gli ex atleti che, una volta lasciato l’agonismo, si sono allontanati definitivamente dalle palestre, ed infine di avvicinamento per coloro che, solo in età matura, intendono scoprire il piacere di praticare una disciplina marziale non agonistica utile per la propria sicurezza.

    Il programma, finalizzato all’apprendimento del concetto di flessibilità e cedevolezza, si presenta di facile attuazione e di notevole adattabilità alle più diverse tipologie di praticanti; l’addestramento viene effettuato all’insegna delle più aggiornate metodologie didattiche.
    Per un primo livello si ritiene che si possa prescindere dall’allenamento classico delle arti marziali sportive, eliminando dalla lezione la fase di riscaldamento mediante la ginnastica tradizionale, che può essere sostituita agevolmente dalla esecuzione di esercizi propedeutici che sicuramente saranno graditi a quelle persone che hanno scelto di praticare una disciplina che possa permettere loro di aumentare il livello di sicurezza personale. Una preparazione atletica maggiore si potrà prevedere per i praticanti di livello “avanzato” successivo.

    A caratterizzare la metodologia didattica abbiamo la suddivisione dell’addestramento in due fasi distinte: una fase preparatoria, dedicata agli esercizi propedeutici; una fase dedicata esclusivamente alle tecniche applicate.

    Infine le prese “da strada”, che costituiscono i preliminari delle aggressioni. Su di esse si costruirà il contatto fisico e lo studio della difesa da colpi portati in modo istintivo.

    La particolarità della metodica di allenamento consiste nel fatto che le azioni vengono eseguite in sequenza durante un primo lavoro (tonificante) effettuato molto lentamente, ma sempre con carichi naturali, per consentire ai praticanti di tutte le età e forma fisica di assimilare i principi, i movimenti e le posizioni corrette, senza preoccuparsi della forza fisica né della perfezione tecnica.
    Successivamente, durante un secondo lavoro (dinamico), le stesse azioni le ritroveremo nelle forme di difesa da aggressioni o minaccia con pugni, bastone, coltello e pistola, ma verranno eseguite con un impegno “esplosivo” e con un numero di ripetizioni superiore al precedente, rappresentando il principale effetto allenante sull’organismo di colui che pratica.  Naturalmente l’intensità dell’allenamento aumenterà in proporzione al livello tecnico e fisico raggiunto dai praticanti, per concludersi con l’addestramento al combattimento reale.

    Per evitare inutile confusione ai praticanti che si avvicinano per la prima volta alle arti marziali tipicamente nipponiche e per rendere più accessibile il metodo anche a persone di una certa età o che non sono cultori di arti marziali, si consiglia di prescindere dai vocaboli giapponesi che invece vengono conservati per gli insegnanti tecnici e per gli allievi che hanno già una conoscenza di tale terminologia.


     



    Nota 1 :
        I paradigmi (modi di organizzare gli elementi della conoscenza, schemi di leggi matematiche alla base delle deduzioni, modelli che orientano la ricerca) sono "punti di vista", ottiche particolari applicate ai problemi da indagare; sono le dimensioni esplicative dei fenomeni generali, gli impianti interpretativi che illuminano fenomeni particolari.  La forza  del paradigma è proprio la consapevolezza di una sostanziale mutazione delle certezze scientifiche che lo hanno preceduto;  esso determina una "riprogrammazione " delle leggi scientifiche e della stessa visione del mondo.

    Nota 2 :
        La verifica del livello di confidenza raggiunto (consapevolezza delle proprie forze e limiti), rispetto a una realtà, avviene per mezzo dell’effettuazione di una MISURA, in condizioni speciali di totale coinvolgimento dell’entità ‘individuo’.  Lo strumento di questa misura si chiama ‘confronto con un campione’:  si tratta di un invito alla percezione dei movimenti in relazione armonica, cedevole ma “decisa”, con gli Altri.


    - Nota di 'Publishing' -